Ultima modifica: 18 gennaio 2018

REGOLE

L’educazione alle REGOLE rappresenta, probabilmente da sempre, uno dei temi più caldi nel campo della pedagogia, soprattutto quella quotidiana, che si dispiega a casa e a scuola: in che modo possiamo insegnare ai bambini a rispettare le regole? E perché talvolta invece le infrangono? Quali sanzioni è meglio adottare? Gli interrogativi potrebbero proseguire a lungo, ma in generale sottintendono una visione delle regole quale strumento di controllo del comportamento. Indubbiamente, si tratta di un approccio funzionale ed adeguato alle regole, ma se assunto in maniera esclusiva rischia di apparire riduttivo.

Potremmo allora proporre una lettura differente delle regole e del loro ruolo nello sviluppo cognitivo e socio-emotivo del bambino? In altre parole, la regola non costituisce solamente un’indicazione vincolante per il comportamento, ma anche un modo attraverso cui il bambini si rappresenta al mondo.

Vediamo di approfondire questa ipotesi, articolando il discorso in due ampie tipologie di regole, che spesso rivolgiamo ai bambini.

 

COSÌ VA IL MONDO

“Prima di andare a pranzo, bisogna lavarsi le mani”, “Dopo aver giocato, si rimettono a posto i giochi”, “Si aspetta il proprio turni prima di parlare” ecc. L’elenco delle potrebbe continuare praticamente all’infinito. Qual è la loro funzione? In fondo, i bambini di gran lunga preferirebbero lasciare i propri giocattoli sparsi per la sala, sia per risparmiare la fatica del riordino sia per ritrovarli subito pronti quando si decide di tornare a giocare. C’è però un ma: “se tutti facessero così, si creerebbe una grande confusione, i giochi andrebbero persi, ecc.”. In altre parole, queste regole hanno la funzione fondamentale, quella di permettere una convivenza civile. Si tratta delle cosiddette regole “convenzionali”, la cui assenza determinerebbe situazioni di caoticità, in cui viene impossibile svolgere qualsiasi attività: giocare, parlare, studiare, ecc. Potremmo, in altri termini, affermare che la loro ragion d’essere risiede nella funzione cui assolvono, ossia permettere di stare insieme agli altri. Questo è un punto assolutamente centrale: infatti, nell’educazione del bambino sarebbe sempre importante sottolineare la funzione che le regole assumono nonché le conseguenze pratiche qualora le infrangessimo. In fondo si tratta del medesimo approccio adottato dai bambini quando devono contrattare le regole di un gioco: innanzitutto le regole vengono scelte non in quanto tali, ma perché hanno una funzione nella logica del gioco; in secondo luogo, talvolta i bambini si dicono esplicitamente il modo in cui il gioco verrebbe compromesso se non fossero rispettate le regole. In maniera del tutto spontaneo adottano un approccio “funzionalista” a questa prima categoria di regole: esse ci sono perché “così va il mondo”, altrimenti cadremmo nel caos!

 

COSÌ STANNO GLI ALTRI

Però le regole convenzionali non esauriscono il tema perché dobbiamo considerare una seconda categoria: le regole “morali”, il cui perno centrale è rappresentato dal benessere altrui. Così ad esempio, regole del tipo “Non si picchiano gli altri”, “Non si deride il compagno che sbaglia”, ecc. hanno come fine ultimo la salvaguardia del benessere altrui, sia fisico che, soprattutto, emozionale. La finalità di queste regole è importante a livello educativo, perché se vogliamo che i bambini imparino a rispettare tali regole “morali” le dobbiamo trattare come tali e non derubricarle a regole “convenzionali”.

Approfondiamo questo punto: nel caos delle regole convenzionali è importante far riflettere il bambino sulla loro necessità, evidenziando come una violazione determini l’impossibilità di una convivenza civile durante un gioco o un’attività. Alla stessa maniera, allora, quando educhiamo i bambini al rispetto di regole “morali”, dobbiamo aiutarli a riflettere sulle loro conseguenze: che non consistono nella punizione del bambino trasgressore, ma nella consapevolezza della sofferenza indotta in altri.

Chiariamo ancora meglio: immaginiamo che Marco abbia deriso un compagno perché ha sbagliato in un compito (oppure perché balbuziente, sovrappeso, ecc.). la mamma  lo rimprovera duramente, sottolineando quanto sia un bambino maleducato, e per punizione gli proibisce l’uso della Play Station per una settimana.

Cosa c’è di sbagliato in ciò?

Molti lettori probabilmente sottolineerebbero che saremmo fin troppo fortunati ad avere un intervento così netto e deciso da parte di un genitore, che invece spesso tende a scusare oltre ogni limite le malefatte dei propri figli. Indubbiamente, l’intervento sanzionatorio della mamma è opportuno, ma rimane un “però”: l’adulto è stato molto rapido e deciso nel punire il bambino, però si è scordato di fargli notare le reali conseguenze della sua azione. In altri termini, la conseguenza di aver deriso il compagno non è il fatto di rimanere senza Play Station, ma l’aver fatto soffrire un altro bambino.

Mentre la prima è una conseguenza del tutto autocentrata (potremmo anche dire egoistica), la seconda è una conseguenza eterocentrata (altruistica): in tal modo, educhiamo il bambino a non rapportare sempre qualsiasi cosa avvenga a se stesso, ma a considerare sempre il benessere delle altre persone. Se non adottiamo un tale approccio, rischiamo che l’intervento sanzionatorio della mamma prima descritto nell’immediato possa anche avere successo, ma rischia di perdere efficacia nel lungo periodo: infatti, se il bambino non vede altro che le conseguenze per se stesso (il rimanere senza videogioco), in futuro cercherà di scongiurare tale pericolo, ad esempio, nascondendo le proprie malefatte o incolpando addirittura la vittima.

LE REGOLE SONO UN GIOCO

Chiarite le due categorie di regole con cui dobbiamo confrontarci nel processo educativo, rimane un ultimo aspetto da ribadire: le regole non dovrebbero essere intese (soprattutto dall’adulto) come dei vincoli e dei limiti imposti dall’esterno ad attività che altrimenti avrebbero un loro svolgimento spontaneo e naturale. Piuttosto, le regole devono essere presentate e percepite come intrinseche all’attività stessa: in fondo i bambini contrattano e richiamano le regole del gioco. Ma una volta fatto questo, giocare e rispettare le regole del gioco diviene per loro un tutt’uno: l’assenza delle seconde farebbe venire meno l’atto stesso del giocare.

In tal senso, allora, nulla diviene più naturale e spontaneo delle regole stesse.